Un video da vedere quando l’amore unisce l’impossibile
Il Diavolo Esiste
Nella sala autoptica, il corpo di Marzia, una giovane donna, era disteso sul tavolo settorio. Un esorcismo finito male. Aveva il viso pallido e le braccia piene di lividi e graffi.
“Marzia, mi dispiace ma… oggi il Diavolo che è in te verrà sezionato da un uomo di scienza” mormorai con tono ironico, mentre mi infilavo i guanti.
Erano le 2:47 di notte. Alle mie spalle, Paola, la mia assistente, sconvolta, sfogliava la cartella clinica. Non la biasimavo. Il caso era surreale, perfino per me.
“Secondo i familiari, ha iniziato a parlare in lingue a lei sconosciute una settimana fa. Addirittura in aramaico antico” disse. “E poi… emetteva strani versi, e gli occhi le erano diventati completamente neri. Il parroco ha tentato un esorcismo ma… è morta di colpo durante il rito.”
Sbuffai, esasperato.
“Lingue antiche, occhi neri, esorcismi… ma siamo ancora fermi al Medioevo? Che follia.”
Mi chinai sul corpo. Il volto di Marzia era disteso, quasi sereno, come se la morte le avesse finalmente portato sollievo.
Continuai a sfogare il mio scetticismo.
“Davvero c’è ancora chi crede nel Diavolo?” aggiunsi sarcastico. “La vera possessione si chiama ignoranza.”
Ma appena terminai la frase, un rumore secco echeggiò nel corridoio.
Io e Paola ci bloccammo.
“Che succede? Paola, vai a vedere chi è e digli di non disturbare. Dobbiamo cominciare l’autopsia” ordinai, irritato.
“Subito dottore” rispose. E uscì dalla stanza.
Fu in quel momento che qualcosa cambiò.
I neon cominciarono a sfarfallare. L’aria si fece più calda. E la vista, per qualche secondo, mi si annebbiò.
Mi sedetti un momento. E pensai che forse avevo bisogno di qualche giorno di ferie. Troppo stress.
Passarono cinque minuti.
“Paola?” chiamai.
Nessuna risposta.
Uscii nel corridoio.
Era vuoto.
Mi avvicinai alla porta dei bagni e la chiamai a voce alta, ma ancora niente. Solo il suono intermittente di un rubinetto che gocciolava.
Confuso, tornai nella sala autoptica. Presi il bisturi e decisi di cominciare da solo. Il primo taglio lo feci appena sotto lo sterno.
E fu allora che sentii una voce sibilante.
“Dottore… ti stai divertendo?”
Alzai lo sguardo e mi guardai intorno. Non c’era nessuno.
Continuai a lavorare. Il cuore. I polmoni. Il fegato. Ma ogni mio movimento era accompagnato da risatine soffocate. Come se qualcosa mi osservasse. Divertito.
“L’hai aperta per bene, ma… non abbastanza. Puoi fare di meglio, dottore. Tagliala ancora. Ancora.”
Mi voltai di scatto.
“Basta. Che cazzo sta succedendo?” dissi, lasciando cadere il bisturi.
Uscii di nuovo nel corridoio. Ma niente.
“Dove diavolo è andata Paola?” sussurrai.
Sudavo. Le mani mi tremavano. La testa girava. Mi sentivo come se fossi ubriaco. Rientrai e composi il numero della sicurezza dal telefono fisso.
“Avete visto uscire Paola, la mia assistente?” chiesi.
“No, dottore. Nessuno è entrato o uscito di recente.”
Riagganciai.
Ripresi a lavorare. E ad ogni taglio, la stanza diventava più calda.
Quando terminai, sentii di nuovo quella voce. Soddisfatta.
“Ottimo lavoro, dottore. Davvero un ottimo lavoro. Complimenti.”
Mi sentii svenire. La vista mi si annebbiò di nuovo, questa volta più a lungo. E quando tornò nitida, il cuore mi saltò in gola.
Sul tavolo settorio accanto, vuoto fino a un attimo prima, giaceva il corpo di Marzia. Intatto. Nessun segno di autopsia.
Guardai verso il tavolo dove avevo eseguito l’autopsia. E il mondo mi crollò addosso.
C’era Paola. Squarciata. In un lago di sangue. Il volto contratto in un’espressione di puro terrore. Mani e piedi legati.
Crollai a terra.
“No… no… non può essere… io… io non… non l’ho fatto… non poteva essere lei… io… no… no.”
In quel momento, le voci delle guardie giurate e dei portantini esplosero oltre la porta.
“Dottore! Dottore! Che succede? Abbiamo sentito urlare. Aprite.”
Mi rannicchiai su me stesso. Le mani insanguinate sulla testa.
“Non può essere… lei era uscita… io non… non l’ho più vista… io… non… non può essere vero.”
Le luci si spensero di colpo. E nel buio, la voce tornò.
Più forte.
“Adesso credi, dottore? Credi nella mia esistenza? Nell’esistenza del Diavolo?”
E una risata potente, malvagia, risuonò nella stanza.
Sono passati mesi. Adesso sono rinchiuso in un carcere psichiatrico.
La telecamera aveva registrato tutto.
Avevo legato mani e piedi della mia assistente. Poi avevo iniziato a sezionarla. Viva.
Dicono che sono un mostro. Un pazzo omicida.
Ma io so la verità.
Il Diavolo esiste.
E si diverte con chi lo sfida. Con chi crede di potergli ridere in faccia. Ama prendersi gioco di noi. E quando arriva… non sempre urla. Spesso sussurra piano.
E quando ce ne rendiamo conto è troppo tardi.
Non siamo più noi.
Ma solo il suo strumento.





